Feriti a fondo

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Sottodimensionati. I numeri sulla salute mentale, già prima del Covid-19, erano incompleti. Eppure, impressionanti: 2,8 milioni di persone soffrono di depressione, ogni anno 4 mila suicidi in Italia e 900 mila ricoverati nei Dipartimenti di Psichiatria. La proiezione post Coronavirus dell’Associazione italiana Psichiatri è di una richiesta d’aiuto che salirà di un terzo, a fronte di un taglio del 28% degli addetti negli ultimi tre anni. Ma i calcoli sono fatti su chi già ha una diagnosi. E dal cerchio rimane fuori la maggioranza che vive la malattia senza mai ricorrere alle cure. Spesso è una storia di convivenza con un nemico che rende vani gli sforzi dei familiari e che sfocia nell’evento traumatico del TSO. Intervenire nella fascia d’età tra i 18 e i 35 anni significa agire sui primi sintomi, spezzare la catena. Già colpiti nell’identità professionale, sacrificati a sforzi inutili, feriti a fondo dal cinismo dello sfruttamento lavorativo: senza un freno al precariato, le nuove prede di questa epidemia rischiano di essere loro, i giovani.Testo, foto, video e editing a cura di Angela Zurzolo

Ecomuseo Casilino - Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”,  curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”, curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Gabriele* mi ha raccontato di aver tentato il suicidio dopo aver perso il lavoro, Matteo*, travolto da ritmi bestiali e mobbing, ha iniziato con la coca nel ristorante in periferia in cui lavorava. Giovanni* “sentiva le voci” ma ha sempre continuato a chiedere di essere curato e a cercare un lavoro, spesso invano. Questa è la storia della forza di chi ha sofferto, e di un lavoro fatto in team tra la cooperativa Aelle Il Punto di Legacoop Nazionale, le Asl Roma 1 e 2, specialisti e operatori pronti a rafforzare la loro identità e autostima, aiutarli a vincere la malattia attraverso le terapie, orientarli e aiutarli nell’inserimento lavorativo. Ma durante il lockdown, quattro giovani su dieci hanno “scelto” di farsi ricoverare. Ma più che una scelta è stata una mancanza di alternative. E mentre il virus rende necessarie le distanze, ostacolando ma non fermando il lavoro della cooperativa, avanza un dubbio: cosa accadrà se le aziende gravate dalla crisi smetteranno di includere soggetti con disagio psichico?

Storie “dalla faccia della terra”: Gabriele* e la depressione

“Mi ha trattenuto lei. L’immagine di mia madre che mi diceva: ‘no, io non voglio questo per te’. Così non sono saltato, altrimenti lo avrei fatto. Ma i giorni seguenti sono stati un’insistente voglia di volersi cancellare dalla faccia della terra”. Le sue mani tremano al ricordo del ricovero in SPDC al San Filippo Neri ma nello sguardo di Gabriele* è impresso il nome di chi è nato due volte. Alla fine, ha vinto lui su quella depressione che svuota gli occhi. Le sneakers di chi ha fatto tanta strada, l’aria serena, il sorriso luminoso di chi è sopravvissuto a un mistero, non ha nessun segno di quel che è stato: dei suoi 33 anni solo un po’ di argento sui capelli. Bastava aspettare, tenere duro, e presto sarebbe diventato la persona che è oggi.

Ecomuseo Casilino - Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”,   curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo  @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”, curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

“Dopo due anni dal diploma è arrivato un lavoro come magazziniere in un negozio di materiale elettrico – mi racconta -. Ci sono stato 5 anni lì dentro. Facevo smistamento, lavoravo alle bolle. Allo scadere del contratto, mi hanno detto che non potevano più tenermi. E da lì ho iniziato a stare male e a sentirmi inadatto”. La delusione, la disintegrazione di tutte le sue certezze. “Così è iniziato il tracollo. Mi sono sentito inutile, un peso per mia madre. Vivevo da solo con lei perché ho perso mio padre quando ero molto piccolo”. Tra sacrifici e sforzi, quegli anni sarebbero stati gli ultimi da condividere anche con sua madre. Indelebile, il loro mancato addio. “Avevo fatto serata, sono tornato brillo. Mi ha detto: ‘buonanotte, eh!’, come mi avesse aspettato in piedi fino a tardi. La mattina dopo mi ha svegliato mio fratello, dicendomi che mamma non c’era più. Se ne era andata”. Ma non è stato quello il loro ultimo incontro. Perché in qualche modo l’immagine di lei è tornata e lo ha fermato al momento giusto.

Ecomuseo Casilino - Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”,  curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”, curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

“Il mio è stato un gesto fatto a mente fredda – mi spiega-. Prima di quell’attimo in cui ho posato le buste della spesa, c’era tanta rabbia e tristezza. Ricordo un Natale in cui tutti a casa stavano bene e io ero chiuso in camera a strillare”. Dopo tre anni di depressione e talvolta atti di lesionismo, quel tentativo. “Ci si sente senza uno scopo, senza emozioni, senza vita” dice. “Sono stati eventi troppo più grandi di me”. Sospira: “nei giorni del ricovero, gli infermieri chiacchieravano con noi ma dentro senti un vuoto che non riesci a colmare. Eppure, le cure farmacologiche funzionano. Sono stato seguito da medici competenti”. Così, è stata possibile la risalita e “una forza di volontà che prima non c’era. Solo due anni fa non avrei mai immaginato che mi sarei fatto casa da solo e ci sarebbero state delle svolte positive sul lavoro. Mi vedevo come un depresso cronico che a 50 anni stava con la bottiglia del whiskey sul divano”. Lui ne è certo: “Se si aspetta e si ha pazienza e fiducia, le cose possono cambiare”. 

Ecomuseo Casilino - Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”,  curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #4”, curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Oggi lavora grazie alla cooperativa di tipo A Aelle Il Punto, associata a Legacoop. “All’inizio non mi sentivo in grado. Era un lavoro che non avevo mai fatto: usare Excel, stare tante ore di fronte un pc… E invece ho imparato presto” dice sorridendo. Ma a rendere possibile la rinascita è stato un complesso lavoro sul piano psicoterapeutico e personale con l’aiuto dei dottori e dei farmaci, ma anche fatto da laboratori di gruppo come quello sartoriale, momenti di incontro e di orientamento al lavoro, che lo hanno preparato a essere costante nell’impegno, trovare amici con sofferenze psichiche affini e a superare le difficoltà dovute al suo vissuto. Prima di ottenere un contratto stabile, infatti, ha scoperto tramite la ASL Roma 1 l’esistenza del progetto “Mettersi in moto” che la cooperativa realizza con il sostegno della Regione Lazio e del Fondo sociale europeo per i giovani con disabilità. “E’ volto a offrire alla persona con disagio psichico attività laboratoriali di tipo artigianale e espressivo, per poi orientarla e accompagnarla al lavoro attraverso un processo di empowerment, insistendo sul contrasto agli atteggiamenti di passività e sull’autostima” spiega Tea Ferrante, della coop.

Le scarpe di Gabriele* seduto su dei gradini Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Le scarpe di Gabriele* seduto su dei gradini Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Nessuna falsa aspettativa: non serve a trovare un lavoro ma a porre le condizioni perché si possa ottenerlo, riprendendosi attraverso il contatto con gli altri, l’impegno in attività nuove e l’esperienza di sé nel gruppo, anche se è prevista una work-experience nelle aziende; possibilità che quest’anno è saltata a causa del lockdown.

Ecomuseo Casilino - Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #5”,  curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #5”, curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Quando è arrivato il lockdown

In quei mesi, gli operatori sono stati costretti a ricorrere a Zoom per continuare le attività. “Durante l’emergenza, alcuni tra i dieci ragazzi che al momento stiamo seguendo, hanno subito un ricovero volontario in clinica. Quasi ricercato come alternativa a una convivenza 24 h su 24 che, fosse nella famiglia di origine o in gruppo-appartamento, evidentemente è stata vissuta come eccessiva e addirittura insostenibile. E’ un fatto che dovrebbe far riflettere le istituzioni sulla necessità di un’alternativa per loro, qualora dovesse ripresentarsi un lockdown. – spiega Paola D’Amelio, psicoterapeuta- Per altri versi, invece, incontrarsi su Zoom ha consentito di trovare una nuova sintonia”. “Ma a me mancano gli abbracci. Io non avevo mai abbracciato nessuno e tu mi hai insegnato che il contatto è importante!” ha esclamato durante una call una ragazza all’insegnante di Teatro, Riccardo Ballerini, che li ha fatti lavorare partendo dal contatto fisico e visivo. “Anche se ci era inibito, online abbiamo iniziato a scoprire il potere della narrazione e abbiamo iniziato a costruire una storia insieme” racconta.

Riccardo Ballerini, attore e docente di Teatro da due anni presso la cooperativa, racconta cos’è successo durante il lockdown alle attività che si sono trasferite su Zoom
Ecomuseo Casilino - Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #6”,  curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Dettaglio del murales di Jef Aérsol “Untitled #6”, curato dalla galleria Wunderkammern**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Ma la verità è che un precedente simile che ha forzato e imposto le distanze, nella storia complessa e anche spaventosa della Psichiatria, dalla Basaglia in poi, non c’era stato. Tra gli operatori del settore, c’è anche chi in quei giorni si è visto costretto a fare pranzi assistiti a distanza per chi ha disturbi alimentari. Se i danni sembrano essere stati per ora contenuti, è difficile che a posteriori il sistema possa fronteggiare, considerati i tagli subiti, lo scenario sul fronte della salute mentale che anche l’Oms ha prospettato per il post Covid-19.

Raccontare la propria esperienza di vita è ancor più difficile quando si è stati tentati di trasformarla in una esperienza di morte a soli 31 anni, anche se questa non è la storia di un tentato suicidio ma di un riuscito ritorno a se stessi e alla propria esistenza. Ringrazio Gabriele* per il coraggio e la generosità nell’averla condivisa con me e con chi legge, affinché chi sente di correre lo stesso rischio possa capire che esiste sempre una strada per tornare a vivere e consiste nel rivolgersi agli psicoterapeuti e agli esperti. Video credit: Angela Zurzolo @Cooptelling/Music credit: bensound.com
Ecomuseo Casilino - Murales di Alice Pasquini, “It’s a new day”, curato  dal progetto M.U.Ro**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Murales di Alice Pasquini, “It’s a new day”, curato dal progetto M.U.Ro**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

“Ci ritroveremo in futuro con un corpo sociale colpito da stress post traumatico e dalla crisi: molti perderanno il lavoro e affronteranno difficoltà di tipo economico, sviluppando problemi di disagio psichico, mentre le imprese in crisi faranno fatica a poter includere lavorativamente soggetti fragili” spiega Antonietta Lo Scalzo, presidente della cooperativa, mentre si fa sempre più certa la notizia che il virus colpisca il sistema neurologico. Tutto questo in un Paese in cui in media ci sono già 4 mila suicidi l’anno, complice anche la crisi economica.

L’intervento di Massimo Digiannantonio, presidente Società italiana psichiatri, su Covid-19, crisi economica e salute mentale

Nonostante l’entità del problema, “c’è stata una riduzione del 28% degli addetti in Psichiatria negli ultimi tre anni– mi racconta al telefono Massimo Digianntonio, presidente della Società italiana di Psichiatria-. Non sono stime epidemiologicamente verificate ma secondo i nostri criteri di aspettativa i 900 mila pazienti con diagnosi presenti nei nostri Dipartimenti potrebbero lievitare di un terzo, con un aumento della richiesta d’aiuto pari a ulteriori 350 mila persone – continua-. Per questo noi chiediamo un aumento del 5% sul budget destinato al Dipartimento di salute mentale per la prevenzione e la riabilitazione terapeutica delle patologie psichiatriche e che gli organici siano riportati alla definizione epidemiologica che c’era prima della crisi del 2008”.

Ecomuseo Casilino - Murales di Alice Pasquini, “It’s a new day”, curato dal progetto M.U.Ro**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Murales di Alice Pasquini, “It’s a new day”, curato dal progetto M.U.Ro**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

E sono i giovani a rischiare di più. Un esercito in cui la patologia psichiatrica sta già da tempo trasformandosi insieme ai cambiamenti sociali,  perché tanti presentano disturbi comportamentali connessi alle dipendenze da droghe e alcol, molto difficili da trattare, e su cui interverranno gli effetti dell’epidemia e della crisi economica. Due fattori che destabilizzeranno ulteriormente i giovani tra i 18 e i 35 anni, non a caso target di riferimento del progetto perché è quello in cui è ancora possibile intervenire sui primi sintomi e evitare esistenze fatte da ricoveri e continue recidive. “Per molti la sofferenza nasce subito dopo la scuola, nel momento in cui si lavora e ci si confronta con episodi di mobbing, precariato e sfruttamento” spiega Benedetta Biancalana, psicologa che segue il gruppo.

Può il precariato ma anche un mondo del lavoro in cui si è vulnerabili portare un giovane a sviluppare disturbi comportamentali per poi cadere nelle dipendenze da sostanze stupefacenti? Matteo* non punta il dito contro nessuno, si esprime per eufemismi ma dalla sua storia è chiaro: una esistenza fatta di due lavori contemporaneamente, mobbing e ritmi bestiali non poteva che produrre rabbia e ansia in un ragazzo poco più che ventenne che ha impiegato sette anni per riprendersi e uscire dalla droga. Video credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Se la coca la trovi a lavoro. La storia di Matteo*

Lo capisco quando incontro Matteo* alla fine del laboratorio di teatro dove ha recitato come un professionista una scena al bar tratta da “Tradimenti” di Harold Pinter. Per anni, in realtà, oltre che come magazziniere, ha lavorato nella ristorazione, facendo anche due lavori insieme. “Poteva capitare che staccassi alle due dopo una giornata di lavoro e il giorno dopo dovessi riattaccare alle sei, dormendo due ore. Lavoravo con un contratto a chiamata” racconta . Uno era un hotel a 4 stelle in centro, l’altro un ristorante nella periferia in cui è cresciuto. “In hotel ricevevo forti pressioni dal datore di lavoro, e non solo. Mi opprimevano, sgridandomi di fronte ai clienti. Non potevo sfogarmi lì, né reagire. Così ho iniziato a sviluppare sintomi da stress nervoso”. “Non mi sono messo subito a chiedere di essere stabilizzato. Volevo fare vedere che lavoravo bene. Ma passato un anno non è cambiato niente- continua-. Non riuscivo a dormire la notte, ero stanco e più che depressione ho iniziato a sviluppare rabbia”.

Il gestore del ristorante in periferia in cui lavorava, invece, faceva uso di cocaina. “Quando di notte abbassavamo la serranda e chiudevamo l’attività, era irriconoscibile” racconta. Nelle cucine, c’era chi faceva uso di sostanze. “Non so come facessero a sniffare e poi a parlare con quegli occhi con il cliente ma dopo che inizi a farne uso diventi sempre più dipendente e devi farlo ovunque. Ti cambia la voce, non sei tu” dice. In quel periodo, anche lui ha assunto la coca. “L’ho presa da lui” ricorda, pur non dando la colpa al suo ex capo. “Sì, è vero, forse se non l’avessi visto fare non mi sarebbe venuto in mente di provare – dice- però diciamo che è stata un po’ una mia iniziativa e un po’ degli altri. Stavo attraversando un periodo difficile con la mia ex, oltre ai problemi sul lavoro, e la tentazione c’è stata”. Cannabis, coca, solo qualche volta invece, “per evadere con gli amici” dice, ha provato anche l’mdma.

Ecomuseo Casilino - Murales di Nicola Verlato, “Hostia”, anche noto come   “Cappella Sistina di Tor Pignattara”, curato da Progetto M.U.Ro e   prodotto da SKY Arte**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Murales di Nicola Verlato, “Hostia”, anche noto come “Cappella Sistina di Tor Pignattara”, curato da Progetto M.U.Ro e prodotto da SKY Arte**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

“Una sera in discoteca stavo per crollare per terra, c’era come un vuoto d’aria, come se fossi in apnea e sono dovuto uscire fuori, non avevo più la sensibilità del corpo e non so con quale forza io ci sia riuscito- mi spiega-. Sapevo che avrei fatto una brutta fine. Così, una sera, quando ero steso sul letto, ho capito che ero di fronte a un bivio. E lo ho detto ai miei. Pensavo mi avrebbe picchiato ma mio padre mi ha parlato con calma e mi ha confessato che mio cugino, che abitava in una zona ricca, è morto per la droga– continua- Io invece voglio vivere. Non so manco io con quale forza mi sia risollevato. Ho eliminato frequentazioni sbagliate. E’ stato difficile ma adesso ne sono uscito. Gli psicologi mi hanno fatto tornare la voglia di vivere, di allenarmi” racconta sereno.

L’ombra di Matteo* proiettata sull’asfalto mi ricorda un angelo caduto con le ali ripiegate sulle spalle e in preghiera Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
L’ombra di Matteo* proiettata sull’asfalto mi ricorda un angelo caduto con le ali ripiegate sulle spalle e in preghiera Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

“Da tempo non toccavo la bicicletta: qui mi hanno fatto tornare in bici” spiega. Sembra marginale, ma è anche così che si ritorna alla vita. All’interno del progetto, sta partecipando al laboratorio di teatro. “All’inizio eravamo impacciati. Adesso mi sento libero e capisco che tutti gli esercizi sul contatto fisico e visivo servivano ad affrontare la scena” spiega entusiasta, lui che ha tanta paura del giudizio degli altri anche perché la sua superiore nell’hotel a 4 stelle era di Milano e gli contestava il linguaggio e la postura e i suoi supervisori lo aggredivano ad ogni sbaglio di fronte a tutti. Chi partecipa all’iniziativa, riceve un rimborso spese. “Ma quando finirà, dovrò impegnarmi per cercare un mestiere che spero sia quello definitivo perché adesso convivo con la mia ragazza e amarla mi dà una forza indescrivibile”.

Ecomuseo Casilino - Murales di Alice Pasquini, “It’s a new day”, curato dal progetto M.U.Ro**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Ecomuseo Casilino – Murales di Alice Pasquini, “It’s a new day”, curato dal progetto M.U.Ro**/Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

“Sentivo le voci ma volevo curarmi e lavorare”. La storia di Giovanni*

E lavorare è sempre stato anche l’obiettivo di Giovanni*, che segue invece il laboratorio sartoriale, curato da Cecilia De Paolis, stilista con un passato nella moda cinematografica. Già da piccolo si è accorto “di sentire le voci”, uno dei sintomi della sofferenza psichica. “Ho chiesto subito a mia madre di mandarmi da uno psicologo, io volevo essere curato, ma lei non mi ha assecondato.

Giovanni* insieme alla sua insegnante di cucito, durante le ore del laboratorio Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Giovanni* insieme alla sua insegnante di cucito, durante le ore del laboratorio Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Avrei voluto essere seguito prima perché il mio percorso di guarigione adesso sarebbe stato più veloce” mi racconta, dopo avermi detto di aver pregato Dio durante ogni giorno del suo lockdown per chi è stato contagiato dal virus e per le vittime. Anche durante il periodo di isolamento forzato, è stato lontano da suo figlio, che non ha potuto accompagnare nei primi anni della sua vita . Adesso vuole recuperare il tempo con lui. E dimenticare un passato fatto anche da uso di stupefacenti e piccoli furti, anche se mai in vita sua ha smesso di voler trovare un lavoro, dice, mentre impara a usare la macchina da cucito e ricorda che al colloquio conoscitivo pur di essere inserito nel progetto ha detto di saperla già usare. “Ci ho sempre creduto” ripete.

Antonietta Lo Scalzo, pres. della coop. Aelle Il Punto, sul problema dell’accettazione e della collaborazione da parte della famiglia
Un'immagine scattata durante il corso di cucito Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Un’immagine scattata durante il corso di cucito Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling

Spesso, come racconta la psicologa Biancalana , “la maggior parte dei ragazzi che arrivano nei servizi raccontano di usare le droghe per auto-medicarsi perché schiacciati dall’ansia, dalla rabbia, dalla paura”. Si tratta spesso di persone che poi finiscono per essere curate solo in seguito a un TSO.

La psicologa Benedetta Biancalana racconta gli effetti del TSO sui giovani e lancia l’allarme: nei giovani che assumono droghe i problemi di disagio psichico si cronicizzano

“E’ impressionante come pazienti che in quei momenti sembravano non essere presenti, abbiano ricordi lucidi e precisi delle ore decisive in cui è scattato il Trattamento Obbligatorio” testimonia la psicologa. Un ricordo traumatico, anche se a volte è l’unica soluzione per curare chi nega la malattia, che nessun altro dovrebbe avere.

Riconoscere i sintomi della depressione o di tutte le altre forme di disagio psichico non è facile: dall’euforia alla tristezza, si può arrivare persino a sentire voci o ad avere pensieri compulsivi e intrusivi ma si può anche apparire sereni all’esterno. Riconoscere i primi sintomi significa poter intervenire quando ancora è possibile farlo, limitando al massimo gli effetti. Se hai bisogno di aiuto per te o uno dei tuoi cari, riconoscilo subito e ricorda che la soluzione è sempre solo una: rivolgersi agli psicoterapeuti e alle strutture competenti che operano in team con le cooperative sociali. Se i tuoi cari si rifiutano di essere curati, ricorda che anche tu hai bisogno di un sostegno. E in ogni caso, non smettere mai di credere che possa esistere una soluzione. Se vuoi raccontare la tua storia, scrivimi all’indirizzo: angela.zurzolo@hotmail.com 

*E’ un nome di fantasia per proteggerne l’identità.** La street art è Arte. Si ringrazia l’Ecomuseo Casilino, le gallerie e gli autori citati nei credits foto e video per avermi concesso di riprendere, fotografare e pubblicare le immagini dei murales che fanno parte del bellissimo Museo Immaginario di Tor Pignattara, periferia che dimostra che la trasformazione passa attraverso gli sforzi di chi non rimane da solo così come attraverso la forza dell’immaginazione e la potenza di una visione; proprio come accade nei non luoghi della mente.

Una giovane lavora al telaio durante uno dei laboratori del progetto. Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling
Una giovane lavora al telaio durante uno dei laboratori del progetto. Photo credit: Angela Zurzolo @Cooptelling